17 Settembre 2014   •   News

Emilio Salgàri: dalla parola al segno, dall’illustrazione al fumetto

Approfondimento di  Claudio Gallo e Giuseppe Bonomi

  E l’immagine si affermò L’Ottocento fu un secolo di grandi trasformazioni e di innovazioni tecniche nell’attività grafica, nella stampa e nell’utilizzo dell’immagine. Nel 1838 nacque la fotografia, utilizzata nella riproduzione delle immagini mediante la fotocomposizione. Nel 1870 con il cliché al tratto (matrice di zinco con parti stampate in rilievo), ricavato dall’applicazione di principi della fotografia, si poterono stampare insieme testi e illustrazioni. La carta in bobina e l’invenzione di una matrice ricurva segnarono l’avvento della rotativa tipografica. Nel 1880 si sperimentò la Linotype, che adottò i caratteri tipografici fusi su di un’unica riga di piombo, mentre la Monotype (1887) componeva e fondeva i caratteri tipografici. Il cliché a retino (1890) non era altro che la matrice per la stampa di illustrazioni con valori di chiaroscuro, ottenuta scomponendo l’immagine in puntini di superficie diversa. La serigrafia (1907), una matrice di maglia di tessuto, nelle parti lasciate scoperte faceva passare l’inchiostro che si depositava sulla carta. Il rotocalco (1910) era una macchina a cilindri con matrice in incavo che stampava ad altissima velocità su carta a bobina. Attraverso l’intreccio tra stampa e fotografia, le tecniche produttive furono completamente modificate e l’immagine si affermò nei periodici di larga diffusione. I primi intrecci di segno e parola, di testo e disegno, si svilupparono con caratteristiche comuni in molti paesi occidentali. L’introduzione dell’illustrazione, e in particolare di quella a colori, utilizzata tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento dagli editori che intendevano diffondere i loro prodotti fra strati sempre più ampi della popolazione, fu evento nuovo e straordinario. In realtà nella prima parte dell’Ottocento esistevano già degli esempi di “proto-fumetto”, come i “fogli volanti” di norma colorati a mano e chiamati in Francia images d’Épinal, in Germania bilderbogen, in Russia lubki, in Gran Bretagna broadside, in Italia stampe popolari. La rivoluzione tecnologica valorizzò e rese possibile la riproducibilità dei testi e delle illustrazioni conquistando un pubblico vasto ed eterogeno. L’immagine modificò la narrazione che ricorse sempre più spesso al segno e all’illustrazione arricchendo così i romanzi di Carlo Collodi, di Jules Verne, di Robert Louis Stevenson, di Emilio Salgari… Ha perfettamente ragione Grazia Nidasio quando afferma: «Il successo del giornalismo d’immagine durò fino alle soglie del 1970, quando l’era della televisione ne spense la funzione e il ruolo, ed è un peccato che l’interesse per il genere sia venuto meno proprio quando l’impresa giornalistica aveva dimostrato di saper mantenere le sue promesse» [1]. Fu negli anni Novanta dell’Ottocento, allorché la tecnologia raggiunse il suo massimo sviluppo, ormai capace di reinventarsi costantemente, che nacquero quasi in simbiosi il cinema e il fumetto. Emilio Salgari e il suo editore genovese Antonio Donath, presto consapevoli della moderna rivoluzione grafica, crearono un libro dove l’immagine assunse un ruolo fondamentale. La copertina dai colori sgargianti e una ventina di tavole in bianco e nero arricchivano il romanzo. Un modello presto adottato da gran parte degli editori italiani, e in particolare da Enrico Bemporad che, subentrato a Donath, portò nella sua editrice sia Salgari sia i migliori illustratori di avventure come Alberto Della Valle, Gennaro D’Amato, Arnaldo Tanghetti… Salgari proponeva una moderna scrittura immediata, visiva, figlia della sua passione per il teatro e il melodramma; egli creava nelle sue opere scene subito traducibili in immagini. Quale cronista teatrale aveva un’attenzione rigorosa per le sceneggiature, le scene, i fondali. Disegnatore dilettante, capace di tratteggiare con maestria una carta geografica, considerava le immagini fonti indispensabili (disegni, incisioni, fotografie). Alla pari dei testi divorati in biblioteca consultava con scrupolo e attenzione l’apparato iconografico di riviste, di repertori scientifici e naturalistici, di diari di viaggio.. La rappresentazione grafica permeava la sua scrittura. Questa caratteristica fu rafforzata dagli illustratori che fecero dei suoi personaggi vere e proprie icone, offrendo riferimenti sicuri al cinema e al fumetto italiano d’avventura. Con doppie tavole settimanali a colori Nella prima stagione del fumetto l’importanza di Salgari fu irrilevante… Le tavole presentate sul “Corriere dei Piccoli” e su pubblicazioni simili proponevano storie brevi, a carattere comico e con didascalie in versi, nelle quali predominavano animali parlanti e i bambini. Negli anni Trenta, invece, fu creata negli Stati Uniti la narrativa di avventure e di azione, presto esportata in Europa e in Italia con grande successo. Il Fascismo, entrato in rotta di collisione con il mondo anglosassone, censurò gli eroi di carta americani favorendo “itali autori” che, ispirandosi alla straordinaria tecnica grafica e agli affascinanti moduli narrativi d’Oltreoceano, cercarono un’autonoma via nazionale. Ricorsero così alle immagini suggerite dalla scrittura salgariana e dai suoi avvincenti scenari esotici. Ne furono interpreti Guido Moroni Celsi, Rino Albertarelli, Walter Molino, Franco Chiletto… Merito degli editori (Vecchi, Nerbini, Del Duca, Mondadori) che dapprima pubblicarono su riviste come “L’Audace”, “L’Avventuroso”, “L’Intrepido”, “Topolino”, i personaggi del fumetto statunitense (da Flash Gordon a Mandrake, da Phantom a Tim Tylers’s Luck, meglio conosciuti come Cino e Franco) e poi accolsero, valorizzandoli, quelli nazionali. Nel momento in cui nascevano le professioni dello sceneggiatore e del disegnatore di fumetti, prima inesistenti, i nostri autori trovarono in Salgari soggetti e trame quasi pronti e modelli iconici adattabili alla narrazione per immagini. Emilio Salgari, del quale in gioventù erano stati proprio loro avidi lettori, rappresentò il punto di riferimento importante offrendo i suoi romanzi superbe ambientazioni avventurose, convincenti e minuziose: l’India, la Malesia, i Mari del Sud, l’Africa, il Far West, le terre fredde. Il 31 maggio 1936 nel settimanale per ragazzi “ Topolino”, la cui testata era passata l’anno prima da Nerbini a Mondadori, apparve una striscia che annunciava l’inizio, a partire dal numero successivo, della versione a fumetti del romanzo salgariano I misteri della Jungla Nera, con doppie tavole settimanali a colori. Il disegnatore, Guido Moroni Celsi, precursore della scuola italiana del fumetto, realizzò un disegno essenziale ed efficace, fondato sull’azione. Il lavoro sembrò non distaccarsi dall’iconografia “ufficiale” dei personaggi graficamente definiti da Giuseppe Garuti (meglio conosciuto con il nome di Pipein Gamba), Alberto Della Valle, Gennaro D’Amato. In effetti, nella trasposizione in fumetto Moroni Celsi fece prevalere la narrazione più che il disegno artisticamente elaborato. Poi, tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta, realizzò le tavole de Le due Tigri, Le Tigri di Mompracem, La riconquista di Mompracem, Il bramino dell’Assam, La caduta di un Impero, La rivincita di Yanez, Sandokan alla riscossa. Rino Albertarelli, con Walter Molino e Domenico Natoli, sul settimanale mondadoriano “Paperino e altre Avventure” traspose in fumetto Il Corsaro Nero, rimanendo fedele alla caratterizzazione originaria del tenebroso nobiluomo, così come ideata e realizzata da Gamba. Albertarelli amava l’acquarello, utilizzava con estremo equilibrio i neri, i bianchi, le ombreggiature, ispirato anche dal cinema d’azione dell’epoca molto amato dal pubblico. Per le storie ambientate nelle praterie americane, Alle frontiere del Far West e La Scotennatrice, Albertarelli non lasciò nulla al caso; e i suoi disegni erano preceduti da un attento lavoro di ricerca. Non è un caso che nel Novecento egli sia stato il miglior disegnatore italiano di fumetti di avventura, nonché copertinista di spicco per i libri salgariani della casa editrice Carroccio. Esemplare è il suo Sandokan, possente, tormentato, sanguigno, libero dalle suggestioni “barocche” di Della Valle. In quegli anni furono molti gli artisti che, su “Topolino” giornale, si misurarono con l’opera salgariana: Edgardo Dell’Acqua (Il Re del mare); Franco Chiletto (Alla conquista di un impero); Bernardo Leporini (Jolanda la figlia del Corsaro Nero e La zattera del naufragio)… Tutti, pur nella diversa resa grafica, tennero conto dell’iconografia salgariana classica in continuità tra illustrazione e fumetto. Un epigono suggestivo del Signore di Valpenta e Ventimiglia fu Franco di Portovenere, «intrepido condottiero di ciurme, innamorato del mare», scritto da Cesare Solini e disegnato da Carlo Cossio, un altro padre nobile del fumetto italiano, per “Robinson. Settimanale di Meravigliose Avventure” degli anni Trenta. Ripercorrendo esotici scenari Nel dopoguerra la produzione fumettistica salgariana fu riproposta sul periodico “Salgari Settimanale di Grandi Avventure”, uscito in trenta numeri nel 1946 per la casa editrice La Nuova Biblioteca, e poi ripreso nel 1948 dall’Editrice Giornali Libri e Albi (EGLA) di Giusto Vaglieri che la diffuse con ristampe fino a metà degli anni Sessanta. Palestra di talenti come Paparella, Attanasio, Paludetti, Zuffi, Uggeri, Torchio, Bonato… Spettò ad Albertarelli disegnare la versione a fumetti dei romanzi del ciclo della Malesia realizzati, a suo tempo, da Moroni-Celsi; pur rifacendosi a una comune tradizione Albertarelli rese gli eroi amati più snelli, più giovani, cominciando da Yanez senza quella barba e quei baffi che lo avevano per tanto tempo caratterizzato. Walter Molino raffigurò il Ciclo del West, Franco Chiletto Il Corsaro Nero. Sono ancora famose le strisce della “Collana di libri celebri ridotti e illustrati” della Magnesia San Pellegrino, distribuiti gratuitamente nelle farmacie a partire dal 1951. Quattro i romanzi salgariani condensati in 32 pagine: Il Corsaro Nero, Le tigri di Mompracem, I misteri della Jungla Nera, I pirati della Malesia. Per Franco Spiritelli: «Passare da un testo letterario alla sua versione a fumetti, non sempre è indolore poiché, trattandosi di due diverse forme di comunicazione, il testo va trasposto (tradotto) da un linguaggio all’altro. A posteriori possiamo dire che l’operazione non ha sempre funzionato. Va anche sottolineato come molte storie abbiano ricevuto numerose interpretazioni tra le quali bisogna distinguere quelle realizzate in poche pagine, e pertanto sintetizzate all’osso con perdita di atmosfera e profondità, e quelle invece basate su un congruo numero di pagine che consentono l’efficace caratterizzazione dei personaggi e il rispetto dello spirito originario»[2]. Altri epigoni degli eroi salgariani comparvero negli anni Cinquanta, reinterpretando le gesta e ripercorrendo gli esotici scenari. Basti pensare ad alcuni personaggi dell’“Intrepido come Roland Eagle, corsaro dei tempi moderni, di Luigi Grecchi e Ferdinando Corbella. All’Universo avevano utilizzato l’India quale fascinoso teatro nel momento del trapasso da colonia inglese a stato indipendente (Il Principe Azzurro, Il Principe del Sogno, Il Cavaliere Ideale). Ne “Il Monello”, invece, Fiordistella, maharani di Shindapur (disenata Cesarina Putato e da Lina Buffolente), angelica fanciulla dagli occhi di cerbiatta, si destreggiava in vicende sospese tra magia e realtà. Intrigante la collana degli “Albi dell’Intrepido” con ambientazioni le più disparate, non solo orientali e orientaleggianti, che spaziavano nel tempo: cavalieri in armatura, pellerossa, egizi, conquistadores, principi arabi, druidi e sacerdotesse, corsari e pirati… Dalle pagine salgariane, a un certo momento, i sanguinari thugs si insinuarono nelle popolari serie bonelliane di “Tex” e di “Zagor” seguti, parecchi albi dopo, dal principe malese Sumakan, la Tigre Nera, che prima in Colorado e poi a New Orleans, fu tenace avversario del più italiano dei rangers! Irriverenti e apprezzabili la Tigre della Malesia di Altan e, soprattutto, le parodie di Casa Disney: Sandopaper e la Perla di Labuan (di Michele Gazzarri e Giovan Battista Carpi), Paperino e la Nipote del Corsaro Nero di Luciano Bottaro e I misteri della giungla nera (di Bruno Sarda e Giampiero Ubezio). Un intenso Corsaro Nero fu realizzato da Aldo Capitanio, su sceneggiatura di Renata Gelardini, per “Il Giornalino” nel 1977, seguito nel 1978 dalla Regina dei Caraibi. Negli anni Ottanta I misteri della Jungla Nera furono rivisitati da Gelardini e Nadir Quinto, preceduti da Piero Zanotto e Otello Scarpelli con i Racconti brevi di Salgari. Al geniale e surreale Benito Jacovitti dobbiamo le strepitose figure di corsari e pirati per “Il Vittorioso”, poi, raccolti in un bel volume, curato da Gianni Brunoro, intitolato Pirati briganti e carambate, e lo straordinario Salgarone che il Maestro di Termoli[3] dedicò al Capitano di Verona. Bornese di nome e di aspetto Avvincente nel 2008 la rivisitazione a fumetti, de Il Corsaro Nero sceneggiata da Otto Gabos e realizzata, nel corso di un week-end bolognese, da diciassette disegnatori (Borgioli, Catacchio, Clod, Fabbri, Filippucci, Guerrini, Mantovani, Mattioli, Neri, Poli, Porta, Reviati, Ruggeri, Semerano, Soffritti, Vitti e Zucchini). Con il volto di Kabir Bedi, interprete del Sandokan televisivo di Sergio Sollima, il “Corriere dei Ragazzi” presentò la Tigre della Malesia nel 1976, scritta da Milani, con il nome de plume “E. Ventura”, e disegnata da Daniele Fagarazzi. Nel 2008 fu riproposto Sandokan sulle pagine del “Giornalino” a opera di Claudio Nizzi e Sergio Toppi, segnando il distacco dalla tradizione iconografica: gli eroi salgariani sono rappresentati secondo gli stili del disegnatore e dello sceneggiatore liberi dai modelli tradizionali. A questa esigenza rispondono hanno risposto i tanti disegnatori spagnoli che illustrano le nuove edizioni dei romanzi di Salgari, pubblicati e diffusi in quel paese e in gran parte dell’America Latina. Anche l’’editore Nicola Pesce ha recentemente dato vita a tre episodi di Sandokan sceneggiati da Alessandro Di Virgilio e disegnati da Emanuele Gizzi. Nel sempre interessante bonelliano “Almanacco del Mistero”, 2011, è stato “ricostruito” da Alfredo Castelli Il Leone del Transvaal, con i disegni di Alfredo Orlandi e Roberto Cardinale: il romanzo scritto ma andato perduto di Salgari. Vicenda intrigante, e sempre appassionante, per chi coltiva la speranza di scoprirne una copia sul palchetto di qualche libreria antiquaria, o sepolto da scartafacci nel negozietto di un robivecchi. Tre grandi opere caratterizzano il centenario della morte e il centocinquantesimo della nascita dello scrittore. La prima è la pubblicazione nel 2009 per Rizzoli-Lizard di Sandokan. Le tigri di Mompracem sceneggiato da Milani e disegnato da Hugo Pratt. È merito di Alfredo Castelli che ha recuperato delle riproduzioni di indubbia qualità. Quel Sandokan, bornese di nome e di aspetto, stravolge le iconografie tradizionali di Alberto Della Valle e di Gennaro D’Amato che lo avevano caratterizzato a fine Ottocento come un indiano, influenzando per un secolo illustratori, disegnatori, e ipotecando fino ai nostri giorni l’immagine di Sandokan. Peccato che il lavoro di Pratt, un deciso ritorno alle origini letterarie, non sia stato conosciuto per tempo: avrebbe influenzato in modo diverso l’immaginario collettivo che accompagna il più amato degli eroi salgariani! La rivoluzione estetica operata da Pratt lo rivela lettore attento di Salgari più di quanto egli stesso avesse mai ammesso. La seconda è un’opera letteraria, Disegnare il vento (2011) di Ernesto Ferrero, che già nel titolo individua la capacità salgariana di evocare immagini. È lo stesso Salgari che lo dichiara parlando con Angiolina, personaggio chiave del romanzo: Aveva casse piene di disegni. Sin da ragazzo gli piaceva disegnare navi, vascelli alberati, cutter, brigantini, e più c’erano alberi e vele e sartie più godeva, specie a tratteggiare battaglie navali, le nuvolette che fanno i cannoni quando sparano. – Mi piaceva disegnare il vento, – ha detto quasi commosso, come se scoprisse qualcosa di sé che prima non sapeva. – Era un po’ come disegnare la libertà, la forza. La vita. Rendere visibile l’invisibile. Ma godevo anche a disegnare mappe geografiche, carte di paesi che non avevo mai visto, creare dal niente isole con le loro brave montagne, fiumi, porti, castelli. All’inizio è stato un piacere fine a se stesso, poi da quando mi sono messo a scrivere, presto, a quattordici anni, mi è servito per immaginare meglio le storie che dovevo raccontare. Per vederle[4]. Un’opera senza immagini che continuamente le evoca e che il lettore coglie pagina dopo pagina dell’avvincente romanzo. Infine, per terza, Sweet Salgari è la libera interpretazione della vita dello scrittore per mano di Paolo Bacilieri. Con straordinario talento egli effettua, per la prima volta, un’immersione nell’Italia di fine Ottocento, con uno studio rigoroso delle fonti, in particolare di quelle fotografiche. Bacilieri contrappone brani tratti dai romanzi salgariani alla realtà sociale del tempo, in un lungo viaggio che ripercorre, nell’ultimo giorno terreno di Emilio Salgari, la sua esistenza nelle quattro città in cui ha vissuto (Verona, Venezia, Torino, Genova). Non si può che apprezzare lo scrupolo con cui Bacilieri interpreta l’uomo di cui narra insieme all’abilità grafica che gli ha reso possibile trasformare lo scrittore in uno convincente personaggio di carta. Straordinario il finale: l’ultimo viaggio di Salgari attraverso il mondo artefatto della grande esposizione universale organizzata in quei giorni a Torino. Ed ecco che la voce che Salgari è morto si sparge per Torino, i ragazzi se la passano di orecchio in orecchio, e sono Garroni, Bottini, Derossi, Franti; fra lo sconcerto degli adulti sabaudi, abbandonano le scuole, le case, le officine per rendere omaggio a chi ha compreso i loro appetiti e nutrito le loro fantasie. Nel farlo, Salgari aveva dovuto accettare di poter essere riconosciuto solo dopo essere stato amato, senza avere mai le due cose assieme. Aveva chiamato su di sé, in definitiva, le ipocrisie del rimpianto assieme alle vane consolazioni della mitologia postuma[5]. Finalmente in pieno accordo, la letteratura scritta e la letteratura disegnata contemporanee si sono dimostrate capaci di leggere e interpretare meglio di tanti dotti saggi e minuziose ricerche la figura e la poetica di Emilio Salgari. [1]. Grazia Nidasio, Illustrazione arte colloquiale, in Italia 50, a cura di Silvano Mezzavilla, Montepulciano, Editori Del Grifo, 1990, p. 28. [2] Franco Spiritelli, I fumetti salgariani, in Salgari. Salgari, salgariani e falsi salgariani. Pirati, corsari e uomini del West nella grande avventura salgariana, a cura di Spiritelli… s.l., Fondazione Rosellini per la Letteratura Popolare, 2011, pp. 157-160, 201-222. Il saggio comprende una dettagliata bibliografia di fumetti “salgariani”. Vedi anche Gianni Bono, Guida al fumetto italiano, vol. 2, Milano, EPR, 2002, pp. 196-199. [3] Per questa parte centrale abbiamo fatto riferimento pur riducendo, rielaborando e integrando il testo al nostro lavoro in corso di pubblicazione: Giuseppe Bonomi, Claudio Gallo, Le immagini hanno l’ultima parola. [4] Ernesto Ferrero, Disegnare il vento. L’ultimo viaggio del Capitano Salgari, Torino, Einaudi, 2011, p. 8. [5] Stefano Bartezzaghi, L’ avventura in casa. Omaggio a fumetti al maestro Salgari, “La Repubblica”, 7 marzo 2012.