19 Settembre 2014   •   News

Il naturalismo nella Roma di Leone XIII

Dario Pontuale

È l’autunno del 1894 quando una carrozza, sotto il cielo terso di Roma, scivola sui ciottoli di via Nazionale e scende verso via Giulia. A bordo il giovane abate Pierre Froment partito da Parigi in difesa del proprio libro, La Roma Nuova. Intende chiedere udienza a papa Leone XIII per ribadire le finalità cattoliche del proprio lavoro che, mal interpretato, è al vaglio della censura.Secondo l’abate lo scritto non è tacciabile di immoralità, ma è una conferma di fede, un inno alla purezza evangelica contro la mera idolatria, un ritorno al cristianesimo primitivo di una Chiesa povera per i poveri. Pierre parla, o meglio scrive, per esperienza diretta, vive fra i poveri, conosce le misere condizioni in cui versano e non riesce più a ignorare lo strappo tra i fedeli e lo sfarzo della Chiesa di Roma. Ecco perché pubblica il libro, perché giunge a Roma convinto che la sincerità e la purezza della sua fede risolveranno l’equivoco. Si domanda: «Non era forse da Roma, l’eterna e la santa, che doveva avere origine il riscatto dei popoli?». Pierre, suo malgrado, è ancora inconsapevole di essere un pellegrino nella terra del peccato, di percorrere una landa abitata dai draghi. A via Giulia l’abate trova ospitalità presso la residenza dell’antica casata dei Boccanera, una famiglia dell’aristocrazia romana, in lenta decadenza, ma con al vertice un potente cardinale. Pierre, confidando nella disponibilità pontificia, crede di alloggiare nel palazzo per non più di due settimane, ma si sbaglia nuovamente. Otterrà, infatti, l’agognata udienza soltanto dopo tre mesi, mesi nei quali conoscerà le ombre che sovrastano la città, confrontandosi con ogni grado episcopale senza ricevere responsi, ma soltanto avvertimenti e ammonizioni. Assiste a oceaniche manifestazioni religiose, a fastose cerimonie, visita pullulanti luoghi di culto, percependo il potere spietato e serpeggiante che lo attornia. «Era certamente Roma, la terra di Roma, quella dove l’orgoglio e la sete di dominio crescevano come l’erba dei campi, che aveva fatto dell’umile cristianesimo primitivo il cattolicesimo vittorioso, alleato ai potenti, ai ricchi, fortissimo strumento di governo, eretto per la conquista dei popoli». Émile Zola pubblica questo romanzo nel 1896, opera che segue Lourdes (1894), anticipa Parigi (1898) e compone il ciclo delle “Tre città”, ciclo successivo al più celebre e ultraventennale “Rougon-Macquart”. Nonostante Nanà, La bestia umana, Germinal e Therese Raquin è con Lourdes che lo scrittore francese guadagna la messa all’Indice dell’opera omnia. La classe borghese, l’aristocrazia, la critica, ma soprattutto il Vaticano, non perdonano una scrittura provocatoria, inquieta, sprezzante e, al contempo, rigorosa. Una prosa che evita l’ipocrita morale cristiana e borghese per osservare da vicino il popolo nelle sue mutazioni culturali e nel travaglio materiale che lo opprime, auspicando una giustizia sociale per i diseredati. Zola assieme a Balzac, Flaubert, Maupassant, i fratelli Goncourt e Daudet, rappresenta l’anima più significativa del panorama naturalistico francese. Grazie alle teorie dello scienziato Claude Bernard, sfruttando gli stretti legami tra il naturalismo e la filosofia Positivista, i naturalisti adottano un inflessibile ragionamento sui fatti originati dall’osservazione. L’osservazione, quindi, come forma di conoscenza diretta, come via di accesso alla realtà: studiare il reale per fare del Vero letteratura. Il critico Francesco De Sanctis, in un celebre saggio su Zola, scrive: «È l’artista che pur combattendo ogni tendenza convenzionale dell’arte, e atteggiandosi a novatore, ripiglia le tradizioni, e non distrugge, ma compie il romanzo psicologico e storico assorbendolo e realizzandolo ancor più nel suo romanzo fisiologico […]. Il suo è dunque uno studio più acuto e più compiuto dell’uomo, a base fisiologica». Per tale motivo, pertanto, Roma è un libro ambizioso, dai tratti perfino enciclopedici. Un romanzo che in settecento pagine narra della vicenda personale dell’abate Froment, della propria battaglia sociale e teologica, della contrastata storia d’amore tra due cugini, Dario e Benedetta, e dei giochi di palazzo che si dipanano attorno al Soglio pontificio. Eppure Roma