“ll Nostro Cuore” Prefazione 1907
Milano 1907
Traduzione di Francesco Sabelli con prefazione del traduttore Treves Prefazione de “Il nostro cuore PIATTO” «Io sono stato sempre un solitario, un sognatore, una specie di filosofo isolato. Ho vissuto solo, sempre solo, per la noia opprimente che mi produceva la presenza degli altri… Amo tanto d’essere solo che non posso nemmeno sopportare la vicinanza degli altri esseri che dormono sotto lo stesso mio tetto; non posso stare a Parigi perché mi consumo come in un’agonia indefinita. Muoio moralmente, e soffro il supplizio del mio corpo e dei miei nervi per quest’immensa folla che brulica, che vive intorno a me, anche quando essa dorme» Questa ricerca appassionata della solitudine era tutta la vita dell’autore del Notre Coeur, vita di pensiero, di silenzio, di raccoglimento. E da questa solitudine sdegnosa balzò il più delicato scrittore della Francia, quello che apparve e fu una meteora nel cielo dell’arte. La rapidità del successo, la gloria che fu compagna di tutta la sua vita, la luce che irradiò dalla sua anima, dal suo intelletto, dal suo spirito sapiente e vigoroso, richiamò al pensiero dei contemporanei lo splendore rapido e abbagliante di una meteora fuggitiva. Ora egli riposa, dal 1893, al cimitero di Montparnasse, accanto alla tomba di Cesare Frank: due anime angosciate dal dolore del sogno e della vita che riempiono il mondo del loro eterno respiro. Maupassant dorme il suo buon sonno tranquillo e confida nella fortuna trionfante dell’opera che ha lasciato. Essa vivrà, essa lo farà vivere. – «Noi che lo conoscemmo e che lo amammo, disse Emilie Zola rendendo un tributo d’amicizia sulla tomba di Maupassant, resteremo col cuore pieno della sua forte e dolorosa immagine. E nel corso del tempo, quelli che lo conosceranno attraverso le sue opere, l’ameranno per l’eterno canto d’amore che egli ha cantato alla vita». Onore grandissimo per uno scrittore morto giovane, il quale dissentiva anche dal pensiero e dall’opera dell’autore della Bestia Umana. L’alba del successo letterario di Maupassant sorse con Boule de suif. Lo scrittore aveva abbandonato la poesia e il teatro per consacrarsi interamente alla novella e al romanzo. Glielo suggerì Flaubert: «Per me è un capolavoro. Prova a farne una dozzina come questo e la gloria è assicurata». Dopo un anno le dodici novelle erano scritte. La novità e la brutalità di Boule de suif, della Casa Tellier e di Mademoiselle Fifi sconvolsero il gusto del pubblico e turbarono la regolarità calma e compassata che la critica aveva serbato fin allora per la letteratura del proprio paese. Pertanto, come osserva un grande critico, le novelle di Maupassant con la loro semplicità commovente e franca davano poca esca al cicaleccio della critica. Bisognava ammirare o protestare violentemente, ma senza poter dire grandi cose a giustificazione della propria simpatia o della propria collera. Così Maupassant fu il meno discusso o piuttosto il più risparmiato dei romanzieri della scuola naturalista. E invero la sua opera è di una semplicità impressionante. Il romanzo, che venne dopo la novella, conservò lo stesso carattere. L’opera è perfetta; sembra che l’autore l’abbia elevata d’un tratto come un monumento di fronte a coloro che aspettavano chi li facesse palpitare di più, amare di più, vivere di più. Quella donna francese, grassa come una palla di sego, desiderata e posseduta da tutti, che si rifiuta di sacrificare il suo corpo al prussiano, ha l’aspetto tragico delle eroine greche. E quando Cornudet zufola la Marsigliese, al ritorno da Dieppe, nelle tenebre della notte, dopo che Boul de suif ha dovuto offrire il suo seno alla libidine dell’ufficiale prussiano per liberare i compagni di viaggio, il pianto di lei è come il rimprovero della patria alla fiacchezza della Francia. Il suo dolore è intenso, è rapido come uno schianto. E tutte le figure del dramma passano colla loro impronta smisuratamente umana. In Maison Tellier, in Mademoiselle Fifi, nel Champ d’oliviers è la stessa sintesi, la stessa indagine rapida di caratteri, lo stesso commovimento di anime. Nel romanzo v’è più tenerezza, più sapore di sentimento insieme alla rapidità e alla profondità dell’azione e dei caratteri. Il sentimento. Vedete come descrive l’adulterio in Forte come la Morte. Non è il solito inganno, non è la miseria del corpo e dell’anima che umilia e consuma gli amanti dopo le ore di piacere. Il pittore Bertin che va al convegno della donna amata ci va con una grande amarezza nel cuore, con un’inquietudine amorosa, che porta con sé un vago rammarico, il timore delle delusioni, la rassegnazione del proprio destino. Quando il romanzo è finito vi sembra che l’odore sottile delle violette, che Bertin amava, sia svanito per sempre dall’altare dove amore raccoglie ogni giorno il desiderio di tutti, ma di rado l’omaggio della purezza e del sacrifizio. * In Bel-Ami c’è più sensualità; ma non è la sensualità bestiale della Curèe di Zola o del Delitto d’amore di Bourget. V’è nelle novelle e nel romanzo di Maupassant quel tanto di sensualità che serve all’azione e che si risveglia irrimediabilmente in tutti gli uomini, prodotto inevitabile della giovinezza e dell’amore. Ma Maupassant non vi si indugia, non se ne compiace. Per lui, non di rado, il senso serve s spogliare l’amore delle nuvole poetiche e ideali in cui l’avvolge la giovinezza, e a renderlo più preciso, più umano, più duraturo. L’amore sensuale – dice in Notre Coeur – asservisce e cattura quando s’unisce alle immateriali ed inesprimibili invocazioni che il cuore d’un uomo manda alle volte verso una donna. È la fusione del sentimento e della materia; e il senso serve allora a rendere solo completo e più torturante un amore. Si direbbe, con un paradosso, che non si possa giungere alla fedeltà e alla esaltazione del cuore se non attraverso il senso. * Tiene un posto immenso nell’opera di Maupassant la Normandia. La Normandia lo attrae colle sue foreste e coi suoi uomini rozzi e sapienti. In Une vie e in Rouille v’è l’entusiasmo strabocchevole dello scrittore davanti al paesaggio normanno. E fino alla fine della sua vita lo accompagnò il profumo lontano ed inobliabile delle foreste. La solitudine e la mitezza del carattere lo portarono alla contemplazione della natura vegetale. Egli rifuggiva dalla compagnia degli uomini e nascondeva i suoi affetti nel seno delle creature foggiate ed amate dalla sua arte. In Pierre e Jean, che è il trionfo dell’amore filiale, v’è tutto il fascino della bontà e della mitezza di Guy de Maupassant. Poiché la malìa che esercitò l’autore di «Bel-Ami» sui suoi contemporanei derivò prima dalla sua vita e poi dai suoi scritti. * Uno scrittore francese ha detto che raccontare la vita di Maupassant è già fare la storia della sua opera. Pochi scrittori, a parer mio, possedettero una più esatta rispondenza di idee, d gusti, di passioni, di tendenze fra il sentimento dea loro vita e quello della loro arte. E pochi scrittori, anche, ebbero una vita più dolorosamente e più tragicamente vissuta di quella di Maupassant. Il tragico dell’esistenza gli permise però di dare alle sue novelle e ai suoi romanzi un’impronta di tristezza pacata, una tristezza che sembra velare lo stile di tenerezza e riflettere passo passo la interna malinconia che lo affliggeva. Non vi è nulla di artifizioso nel suo pensiero e nel suo stile, poiché la materia della sua arte è come l’aspetto del suo carattere. Natura ingenua e primitiva, si dona all’osservazione degli esseri e delle cose con una completa indipendenza di spirito. Il mondo in cui vive, la vita alla quale si lancia con un impeto di libertà, compongono in lui il romanzo e la novella con una fedeltà così assoluta che si potrebbero ritrovare nella sua opera tutte le preoccupazioni, tutti gli avvenimenti che attraversarono la sua esistenza, le sensazioni che questi gli procurarono, di gioia o di dolore; ma quasi sempre di dolore. V’è pure in tutta l’opera quel domini implacabile d’un presentimento di morte che lo torturava senza posa, ogni giorno, dovunque, feroce, cieco, fatale. Tutta la sua opera si esplica attraverso questo impero della morte, che lo stringeva e lo opprimeva in un’ambascia indefinita. Così lo stile di Maupassant, specchio fedele di quest’ambascia, è come un fiume malinconico che scorra sulla vostra anima e vi riporti tutte le imagini di amarezza, di poetica dolcezza, che resero così soave e delicata, e così tormentata l’anima dell’autore del Notre Coeur. * L’opera che più direttamente e più fedelmente risente dell’indole dello scrittore è il Nostro Cuore. Scritto negli ultimi anni della travagliata esistenza, quando l’ombra della morte si faceva gigantesca e terribile intorno al povero cuore, ridice tutto lo schianto, lo scetticismo, l’abbandono, l’implorazione di un’anima. Sembra che lo scrittore, pieno di stanchezza e di sconforto, rientrando in porto dopo d’aver amato e disamato la vita, si chini a raccogliere le lacrime che ha versato e le angosce che ha sopportato, per offrirle al silenzio delle anime che hanno sofferto e hanno pianto come lui. Sembra nel Nostro Cuore, che Maupassant racconti le sue pene per riceverne un estremo sollievo. In nessun romanzo come in questo v’è tanta tenerezza espressa e tanta pietà per espandersi sulle altre anime. V’è un accento sincero, la parola semplice, vi è qualche cosa di mistico che si sforza di oltrepassare l’orrore della vita, per entrare nel regno del raccoglimento e della pace. E il mistico è nelle anime delle creature letterarie che rispecchiano la fede e il dolore dell’autore del Nostro Cuore. È nell’anima fervente di Mariolle, nell’anima amante di Michela de Burne, è in quella fulgida e severa arte architettonica che risplende da secoli nei monasteri di Normandia. Anche l’ispirazione del libro è tormentata, inquieta. È un’inquietudine misteriosa che si legge attraverso la prosa lucida e coscienziosa. L’uomo che per il passato aveva liberato al pubblico la sua visione chiara del mondo. Aveva tentato un po’ di velare il supplizio interno che lo torturava, per paura di rivelarlo troppo a sé stesso. Ma nel Nostro Cuore il timore dell’ignoto, l’aspirazione verso l’infinito, quella dolorosa aspirazione verso la morte, lo afferrano senza che egli vi possa resistere collo sforzo della logica. Il sogno malato, l’estasi, l’incanto di certi amori dicono le angustie terribili dello spirito che s’avvia alla tragedia. Già nel Au Soleil aveva detto la grave parola dello sconforto: «Qualunque cosa noi facciamo, noi morremo! Qualunque cosa noi crediamo, qualunque cosa noi pensiamo, qualunque cosa noi tentiamo, noi morremo. E sembra che dovessimo morire domani senza aver nulla ancora conosciuto, sebbene disgustati di tutto quello che conosciamo». È la tristezza inconsolabile della creatura umana che si sa condannata a una fine inevitabile. Ed è anche come una sete dell’infinito in tutti gli uomini moderni, il ritorno ideale verso le regioni del Mistero. Questa tristezza che occupa l’opera di Maupassant, questo sconforto che opprimeva lo scrittore vent’anni fa sembrano nati ieri, sembrano il tormento dei nostri giorni, delle anime nostre. Quanto cuore di Mariolle c’è nel nostro cuore! E quale suprema desolazione s’effuse dal cuore di Maupassant nelle pagine del Nostro Cuore, mentre l’oblio scendeva e lo avvolgeva la pace funebre del nulla! ll Nostro Cuore di Guy de Maupassant Traduzione di Francesco Sabelli con prefazione del traduttore Treves, Milano 1907 Prefazione «Io sono stato sempre un solitario, un sognatore, una specie di filosofo isolato. Ho vissuto solo, sempre solo, per la noia opprimente che mi produceva la presenza degli altri… Amo tanto d’essere solo che non posso nemmeno sopportare la vicinanza degli altri esseri che dormono sotto lo stesso mio tetto; non posso stare a Parigi perché mi consumo come in un’agonia indefinita. Muoio moralmente, e soffro il supplizio del mio corpo e dei miei nervi per quest’immensa folla che brulica, che vive intorno a me, anche quando essa dorme» Questa ricerca appassionata della solitudine era tutta la vita dell’autore del Notre Coeur, vita di pensiero, di silenzio, di raccoglimento. E da questa solitudine sdegnosa balzò il più delicato scrittore della Francia, quello che apparve e fu una meteora nel cielo dell’arte. La rapidità del successo, la gloria che fu compagna di tutta la sua vita, la luce che irradiò dalla sua anima, dal suo intelletto, dal suo spirito sapiente e vigoroso, richiamò al pensiero dei contemporanei lo splendore rapido e abbagliante di una meteora fuggitiva. Ora egli riposa, dal 1893, al cimitero di Montparnasse, accanto alla tomba di Cesare Frank: due anime angosciate dal dolore del sogno e della vita che riempiono il mondo del loro eterno respiro. Maupassant dorme il suo buon sonno tranquillo e confida nella fortuna trionfante dell’opera che ha lasciato. Essa vivrà, essa lo farà vivere. – «Noi che lo conoscemmo e che lo amammo, disse Emilie Zola rendendo un tributo d’amicizia sulla tomba di Maupassant, resteremo col cuore pieno della sua forte e dolorosa immagine. E nel corso del tempo, quelli che lo conosceranno attraverso le sue opere, l’ameranno per l’eterno canto d’amore che egli ha cantato alla vita». Onore grandissimo per uno scrittore morto giovane, il quale dissentiva anche dal pensiero e dall’opera dell’autore della Bestia Umana. L’alba del successo letterario di Maupassant sorse con Boule de suif. Lo scrittore aveva abbandonato la poesia e il teatro per consacrarsi interamente alla novella e al romanzo. Glielo suggerì Flaubert: «Per me è un capolavoro. Prova a farne una dozzina come questo e la gloria è assicurata». Dopo un anno le dodici novelle erano scritte. La novità e la brutalità di Boule de suif, della Casa Tellier e di Mademoiselle Fifi sconvolsero il gusto del pubblico e turbarono la regolarità calma e compassata che la critica aveva serbato fin allora per la letteratura del proprio paese. Pertanto, come osserva un grande critico, le novelle di Maupassant con la loro semplicità commovente e franca davano poca esca al cicaleccio della critica. Bisognava ammirare o protestare violentemente, ma senza poter dire grandi cose a giustificazione della propria simpatia o della propria collera. Così Maupassant fu il meno discusso o piuttosto il più risparmiato dei romanzieri della scuola naturalista. E invero la sua opera è di una semplicità impressionante. Il romanzo, che venne dopo la novella, conservò lo stesso carattere. L’opera è perfetta; sembra che l’autore l’abbia elevata d’un tratto come un monumento di fronte a coloro che aspettavano chi li facesse palpitare di più, amare di più, vivere di più. Quella donna francese, grassa come una palla di sego, desiderata e posseduta da tutti, che si rifiuta di sacrificare il suo corpo al prussiano, ha l’aspetto tragico delle eroine greche. E quando Cornudet zufola la Marsigliese, al ritorno da Dieppe, nelle tenebre della notte, dopo che Boul de suif ha dovuto offrire il suo seno alla libidine dell’ufficiale prussiano per liberare i compagni di viaggio, il pianto di lei è come il rimprovero della patria alla fiacchezza della Francia. Il suo dolore è intenso, è rapido come uno schianto. E tutte le figure del dramma passano colla loro impronta smisuratamente umana. In Maison Tellier, in Mademoiselle Fifi, nel Champ d’oliviers è la stessa sintesi, la stessa indagine rapida di caratteri, lo stesso commovimento di anime. Nel romanzo v’è più tenerezza, più sapore di sentimento insieme alla rapidità e alla profondità dell’azione e dei caratteri. Il sentimento. Vedete come descrive l’adulterio in Forte come la Morte. Non è il solito inganno, non è la miseria del corpo e dell’anima che umilia e consuma gli amanti dopo le ore di piacere. Il pittore Bertin che va al convegno della donna amata ci va con una grande amarezza nel cuore, con un’inquietudine amorosa, che porta con sé un vago rammarico, il timore delle delusioni, la rassegnazione del proprio destino. Quando il romanzo è finito vi sembra che l’odore sottile delle violette, che Bertin amava, sia svanito per sempre dall’altare dove amore raccoglie ogni giorno il desiderio di tutti, ma di rado l’omaggio della purezza e del sacrifizio. * In Bel-Ami c’è più sensualità; ma non è la sensualità bestiale della Curèe di Zola o del Delitto d’amore di Bourget. V’è nelle novelle e nel romanzo di Maupassant quel tanto di sensualità che serve all’azione e che si risveglia irrimediabilmente in tutti gli uomini, prodotto inevitabile della giovinezza e dell’amore. Ma Maupassant non vi si indugia, non se ne compiace. Per lui, non di rado, il senso serve s spogliare l’amore delle nuvole poetiche e ideali in cui l’avvolge la giovinezza, e a renderlo più preciso, più umano, più duraturo. L’amore sensuale – dice in Notre Coeur – asservisce e cattura quando s’unisce alle immateriali ed inesprimibili invocazioni che il cuore d’un uomo manda alle volte verso una donna. È la fusione del sentimento e della materia; e il senso serve allora a rendere solo completo e più torturante un amore. Si direbbe, con un paradosso, che non si possa giungere alla fedeltà e alla esaltazione del cuore se non attraverso il senso. * Tiene un posto immenso nell’opera di Maupassant la Normandia. La Normandia lo attrae colle sue foreste e coi suoi uomini rozzi e sapienti. In Une vie e in Rouille v’è l’entusiasmo strabocchevole dello scrittore davanti al paesaggio normanno. E fino alla fine della sua vita lo accompagnò il profumo lontano ed inobliabile delle foreste. La solitudine e la mitezza del carattere lo portarono alla contemplazione della natura vegetale. Egli rifuggiva dalla compagnia degli uomini e nascondeva i suoi affetti nel seno delle creature foggiate ed amate dalla sua arte. In Pierre e Jean, che è il trionfo dell’amore filiale, v’è tutto il fascino della bontà e della mitezza di Guy de Maupassant. Poiché la malìa che esercitò l’autore di «Bel-Ami» sui suoi contemporanei derivò prima dalla sua vita e poi dai suoi scritti. * Uno scrittore francese ha detto che raccontare la vita di Maupassant è già fare la storia della sua opera. Pochi scrittori, a parer mio, possedettero una più esatta rispondenza di idee, d gusti, di passioni, di tendenze fra il sentimento dea loro vita e quello della loro arte. E pochi scrittori, anche, ebbero una vita più dolorosamente e più tragicamente vissuta di quella di Maupassant. Il tragico dell’esistenza gli permise però di dare alle sue novelle e ai suoi romanzi un’impronta di tristezza pacata, una tristezza che sembra velare lo stile di tenerezza e riflettere passo passo la interna malinconia che lo affliggeva. Non vi è nulla di artifizioso nel suo pensiero e nel suo stile, poiché la materia della sua arte è come l’aspetto del suo carattere. Natura ingenua e primitiva, si dona all’osservazione degli esseri e delle cose con una completa indipendenza di spirito. Il mondo in cui vive, la vita alla quale si lancia con un impeto di libertà, compongono in lui il romanzo e la novella con una fedeltà così assoluta che si potrebbero ritrovare nella sua opera tutte le preoccupazioni, tutti gli avvenimenti che attraversarono la sua esistenza, le sensazioni che questi gli procurarono, di gioia o di dolore; ma quasi sempre di dolore. V’è pure in tutta l’opera quel domini implacabile d’un presentimento di morte che lo torturava senza posa, ogni giorno, dovunque, feroce, cieco, fatale. Tutta la sua opera si esplica attraverso questo impero della morte, che lo stringeva e lo opprimeva in un’ambascia indefinita. Così lo stile di Maupassant, specchio fedele di quest’ambascia, è come un fiume malinconico che scorra sulla vostra anima e vi riporti tutte le imagini di amarezza, di poetica dolcezza, che resero così soave e delicata, e così tormentata l’anima dell’autore del Notre Coeur. * L’opera che più direttamente e più fedelmente risente dell’indole dello scrittore è il Nostro Cuore. Scritto negli ultimi anni della travagliata esistenza, quando l’ombra della morte si faceva gigantesca e terribile intorno al povero cuore, ridice tutto lo schianto, lo scetticismo, l’abbandono, l’implorazione di un’anima. Sembra che lo scrittore, pieno di stanchezza e di sconforto, rientrando in porto dopo d’aver amato e disamato la vita, si chini a raccogliere le lacrime che ha versato e le angosce che ha sopportato, per offrirle al silenzio delle anime che hanno sofferto e hanno pianto come lui. Sembra nel Nostro Cuore, che Maupassant racconti le sue pene per riceverne un estremo sollievo. In nessun romanzo come in questo v’è tanta tenerezza espressa e tanta pietà per espandersi sulle altre anime. V’è un accento sincero, la parola semplice, vi è qualche cosa di mistico che si sforza di oltrepassare l’orrore della vita, per entrare nel regno del raccoglimento e della pace. E il mistico è nelle anime delle creature letterarie che rispecchiano la fede e il dolore dell’autore del Nostro Cuore. È nell’anima fervente di Mariolle, nell’anima amante di Michela de Burne, è in quella fulgida e severa arte architettonica che risplende da secoli nei monasteri di Normandia. Anche l’ispirazione del libro è tormentata, inquieta. È un’inquietudine misteriosa che si legge attraverso la prosa lucida e coscienziosa. L’uomo che per il passato aveva liberato al pubblico la sua visione chiara del mondo. Aveva tentato un po’ di velare il supplizio interno che lo torturava, per paura di rivelarlo troppo a sé stesso. Ma nel Nostro Cuore il timore dell’ignoto, l’aspirazione verso l’infinito, quella dolorosa aspirazione verso la morte, lo afferrano senza che egli vi possa resistere collo sforzo della logica. Il sogno malato, l’estasi, l’incanto di certi amori dicono le angustie terribili dello spirito che s’avvia alla tragedia. Già nel Au Soleil aveva detto la grave parola dello sconforto: «Qualunque cosa noi facciamo, noi morremo! Qualunque cosa noi crediamo, qualunque cosa noi pensiamo, qualunque cosa noi tentiamo, noi morremo. E sembra che dovessimo morire domani senza aver nulla ancora conosciuto, sebbene disgustati di tutto quello che conosciamo». È la tristezza inconsolabile della creatura umana che si sa condannata a una fine inevitabile. Ed è anche come una sete dell’infinito in tutti gli uomini moderni, il ritorno ideale verso le regioni del Mistero. Questa tristezza che occupa l’opera di Maupassant, questo sconforto che opprimeva lo scrittore vent’anni fa sembrano nati ieri, sembrano il tormento dei nostri giorni, delle anime nostre. Quanto cuore di Mariolle c’è nel nostro cuore! E quale suprema desolazione s’effuse dal cuore di Maupassant nelle pagine del Nostro Cuore, mentre l’oblio scendeva e lo avvolgeva la pace funebre del nulla!