03 Ottobre 2014   •   News

Un anno senza Carlo Lizzani

  Lizzani slide     Il 5 ottobre 2013 moriva Carlo Lizzani. Nella ricorrenza del primo anniversario della sua scomparsa riproponiamo la bellissima prefazione di Giancarlo Governi al volume Carlo Lizzani. Italia anno zero di Valentina Innocenti e, in calce, un video tratto da La vita agra, il suo film al quale siamo più affezionati.

. . .

«La lettura della bella e completa intervista di Valentina Innocenti a Carlo Lizzani mi ha riportato alla memoria un fatto remoto. Siamo nel 1953, sono ancora al ginnasio e cerco di sfogare la mia passione per la lettura facendomi prestare i libri dalle biblioteche e da qualche professore generoso. Per me il cinema è ancora un posto dove si vanno a passare un paio di ore di divertimento con gli amici. I film che preferisco sono quelli di Totò ma anche i film americani che, dopo l’interruzione degli ultimi anni del fascismo e della guerra, stanno inondando le nostre sale. A Roma ci sono sale cinematografiche ogni cento metri, si può dire. In molte di esse si fa l’avanspettacolo, per cui con un piccolo sovrapprezzo, oltre al film, puoi vedere anche uno spettacolo di varietà. La prima volta che andai al cinema da solo, ovviamente scelsi quello più vicino a casa: il cinema Augustus a Corso Vittorio Emanuele, uno dei tanti spariti. Quella prima volta mi fu fatale perché vidi Fifa e arena, il film che dette a Totò, a cinquant’anni, il grande successo cinematografico. Un successo che fu sempre crescente e che lo indurrà ad abbandonare il suo amato teatro.

Fu proprio quel giorno di cinquant’anni anni fa che diventai un totoista. Per capire che cosa succedeva nelle sale quando si proiettava un film di Totò, bisogna vedere il film di Tornatore Nuovo Cinema Paradiso. Noi ragazzi, anzi noi totoisti, entravamo alle due, al primo spettacolo e rimanevamo fino alle otto e alla terza proiezione sapevamo già il film a memoria tanto che ripetevamo le battute in coro, insieme a Totò. Insomma a quattordici anni ero diventato bulimico della lettura e anche del cinema, coinvolto come ero nel consumo di tutto quello che mi capitava a tiro e che era alla mia portata economica e anche culturale.

La svolta fu proprio in quell’anno, quando fummo sfrattati dalla nostra casa di Via della Lungara a due passi dal carcere di Regina Coeli e da vie, come Via Orti d’Alibert e Via delle Mantellate, che noi ragazzi avevamo trasformato in campi di calcio per la disperazione dei negozianti e dei passanti che dovevano schivare le nostre pallonate.

Mio padre, che nel frattempo era andato in pensione ancora giovane con una pensione nettamente inferiore allo stipendio (piove sempre sul bagnato per i poveri…), trovò un portierato, a Via Ostiense, che gli consentiva un piccolo stipendio e l’abitazione in uno scantinato, composta da una camera da letto dove dormivano i miei genitori, un corridoio dove dormivo io e una cucina dove si svolgeva la nostra vita: la mamma cucinava e lavorava a maglia e io studiavo. Unico vantaggio: il bagno aveva anche una vasca, un bidet ed era tutto per noi.

Quando potevo, correvo dai miei amici a Via della Lungara ma mi sentivo sempre di più come un estraneo, quello che se ne era andato. Strinsi altre amicizie ma non riuscii mai ad affezionarmi a Via Ostiense: il mio cuore era rimasto a Via della Lungara. Qualche volta sostituivo il mio babbo in guardiola dove potevo studiare in pace o magari leggere qualche libro perché nel condominio non c’era molto movimento. Passava spesso un inquilino, un professore di italiano, capo redattore del Contemporaneo, che era la rivista culturale del Pci, diretta da due grandi personaggi: lo storico della letteratura Carlo Salinari e Antonello Trombadori, una persona straordinaria di cui negli anni diventai amico. Il professore si chiamava Rino Dal Sasso, il quale si incuriosì e forse si intenerì nel vedere questo ragazzo che studiava con tanto impegno in una situazione così disagiata. Era timido Rino e ci mise molto a parlarmi ma quando lo fece per il ragazzo della guardiola si aprirono orizzonti meravigliosi. Rino mi dette le chiavi della sua casa dove i libri erano stipati anche nel bagno. Per me era come entrare nella caverna di Alì Babà. Spesso marinavo la scuola per chiudermi a casa di Rino per leggere, leggere e leggere.

La sera quando Rino tornava a casa si informava sulle mie letture, mi faceva delle domande di controllo, rispondeva alle mie domande e poi mi consigliava le letture successive. Una sera, dopo aver letto l’ultimo libro di Vasco Pratolini, un narratore che mi aveva conquistato, posi a Rino delle domande a cui non seppe rispondere. Qualche sera dopo tornò a casa con una persona di mezza età: “Ecco Vasco Pratolini” mi disse, “puoi porre a lui le domande a cui io non ho saputo rispondere”. Così era Rino Dal Sasso, grande studioso di Leopardi, una malattia che, ovviamente, mi attaccò e da cui non sono mai guarito. In quell’incontro con Vasco Pratolini parlai anche di Cronache di poveri amanti da cui proprio in quell’anno Carlo Lizzani aveva ricavato un film di grande successo e di cui Pratolini si mostrò entusiasta. Rino quella sera mi dette i soldi per pagare il biglietto della prima visione, per non aspettare che il film arrivasse nelle sale di periferia, cosa che poteva avvenire addirittura dopo un anno e anche più.

Quello per me fu il primo incontro con Carlo Lizzani e con un tipo di cinema diverso che non prometteva soltanto divertimento ma che parlava della vita della gente. Fu una rivelazione di cui parlai subito con Rino, il quale si tuffò nella sua biblioteca (una montagna di libri accatastati in cui si muoveva come uno… speleologo) e ne tirò fuori un libro che ho ritrovato nella mia biblioteca e ora è qui nelle mie mani. Il titolo è: Il cinema italiano, l’editore è Parenti (un editore scomparso, confluito negli Editori Riuniti), il prezzo è duemila lire (uno sproposito, se paragonato alla pensione di mio padre che ammontava a venticinquemila lire), l’autore è Carlo Lizzani, lo stesso che aveva diretto Cronache di poveri amanti.

Da quel giorno quel libro divenne il mio breviario, la mia guida nel mondo del cinema. E Lizzani fu il mio Virgilio. La lettura mi aprì una finestra nel mondo del cinema italiano e una voglia smodata di vedere quei film che avevo perso perché non ero nato o ero troppo piccolo o perché la mia ignoranza me li aveva fatti perdere. Ma come recuperarli? Oggi sarebbe facile perché le nuove tecnologie tengono viva praticamente tutta la storia del cinema, ma allora? Venni a sapere dell’esistenza dei Cineclub e cominciai a frequentarli con tanta passione e assiduità. Fu in quelle salette affollate, a cui seguiva sempre un dibattito appassionato a cui partecipavano vere e proprie fazioni, che detti vita alla storia del cinema italiano che Carlo Lizzani raccontava nel suo libro. Scoprii Vittorio De Sica e i capolavori del Neorealismo, mi commossi e mi appassionai alle tristi vicende dell’operaio Ricci che, insieme al figlioletto Bruno va alla ricerca della bicicletta rubata. Piansi per il pensionato Umberto D. e per la grandissima Anna Magnani che cade sotto la raffica dei tedeschi mentre insegue il camion che si porta via il suo Francesco. Insomma Lizzani mi fece capire che in quegli anni straordinari in Italia si faceva un film irripetibile, a contatto con la realtà. Un cinema che poi diventerà commedia e che, con eccezionali attori come Alberto Sordi, racconterà l’Italia. Se fra due o tre secoli qualcuno vorrà studiare questa straordinaria stagione della nostra Italia gli sarà sufficiente vedere quei film.

Il libro intervista di Valentina Innocenti mostra a nudo un personaggio unico, Carlo Lizzani appunto, del nostro panorama cinematografico, uno di quei personaggi che finisci per classificare riduttivamente come regista perché nel linguaggio cinematografico non esiste un termine che comprenda le tante altre cose che Lizzani ha fatto in settanta anni di attività. Lizzani è stato infatti aiuto di grandi colleghi come Rossellini e Giuseppe De Santis, è stato soggettista e sceneggiatore, ha diretto una cinquantina di film e una decina di documentari. Inoltre ha fatto il critico e lo storico. Come lo definisci un personaggio così poliedrico? Non ci sono le parole giuste e lo definisci regista e basta. Ma Lizzani è molto di più.

Carlo Lizzani con questo libro festeggia i suoi no-vanta anni e oggi è rimasto, insieme a Ettore Scola, Francesco Rosi e Luigi Magni il grande superstite di quella straordinaria stagione del cinema italiano. Una stagione tanto lontana nel tempo e irripetibile, perché difficilmente torneranno a verificarsi le condizioni storiche e sociali che quella stagione determinarono. Sono le condizioni che Lizzani detta, sotto forma di consigli, ai cineasti di oggi:

“Primo tra tutti, amare il cinema, perché se non lo si ama visceralmente non si è in grado di capirlo fino in fondo e, quindi, di farlo. Fare i registi significa avere davanti una vita interessante ed emozionante, ma anche colma di sacrifici e di insicurezze, visto che si tratta di un mestiere assolutamente precario.

Secondo consiglio: bisogna rimanere in collegamento con gli altri linguaggi, proprio come faceva la nostra generazione. È necessario incontrarsi e riflettere tutti insieme: cineasti, pittori, letterati, musicisti e tutti coloro che possano contribuire allo sviluppo della cultura.

Terzo: imparare a scrivere, a scrivere bene, anche perché se non si presentano delle buone sceneggiature, non è possibile realizzare alcun film.

Infine: leggere, leggere moltissimo la grande narrativa classica e moderna, guardare i film che hanno reso grande il cinema nel nostro paese e negli altri e […] ricordarsi che il cinema, così come l’arte in generale, è conoscenza di fatti e di uomini!”.

E il cinema di Carlo Lizzani è stato e continuerà a essere “conoscenza di fatti e di uomini”. Grazie Carlo per quello che ci hai dato e, se i lettori me lo permettono, che hai dato a quel ragazzo di tanti anni fa che studiava nella guardiola di un condominio di Via Ostiense.»

Giancarlo Governi